Da deriva mobile a chiglia fissa...


Quando il 1° giorno di dicembre dell’anno 2007 abbiamo acquistato la nostra piccola, ma splendida, barca a vela, a me ed Antonella, ci sembrava di avere realizzato un sogno.
Ma non sapevamo, ignoravamo, cosa avrebbe significato.

Prima di allora, non eravamo neanche mai saliti a bordo di una barca a vela.
E la prima uscita in mare con la nostra Madamin, sarebbe avvenuta dopo circa sei mesi.
Ci è voluto, appunto, molto tempo per convertire le “corde” in “cime”.
L’aiuto di qualche amico, e tanta buona volontà, ci hanno permesso di avvicinarci al nuovo mondo, verso il quale andavamo incoscientemente incontro, con la giusta pazienza e migliore consapevolezza.

La completa ignoranza  ed inesperienza, ci aveva portato ad acquistare la barca senza verificarne nessuna funzionalità effettiva.
A parte il fatto che il motore “girava”, non abbiamo eseguito nessuna prova in mare e, peggio ancora, non avevamo verificato le condizioni della carena.

Quella cosa strana al centro dello scafo era la cassa della deriva mobile.
Ma quale fosse lo stato del meccanismo di movimento non lo sapevamo.

I primi tre mesi li abbiamo passati a sistemare l’interno della barca, come se quello fosse l’aspetto più importante, e l’unico, da considerare (l’estetica, l’apparenza), facendo peraltro anche un buon lavoro.

Poi, nella primavera del 2008, abbiamo alato la barca per la prima volta, e da lì è cominciata la vera avventura.

L’opera viva è risultata essere in ottime condizioni, come aveva garantito il precedente proprietario.

Ma la deriva mobile era completamente bloccata, con la lama di deriva sollevata (a circa 45° di inclinazione), ed il sistema oleodinamico di movimento non funzionava, in quanto la pompa ed il deviatore di flusso dell’olio perdevano (del tipo che tanto olio entrava e tanto ne usciva).

Abbiamo smontato e revisionato la pompa ed il deviatore, rimontato il tutto e provato a muovere la lama di deriva.
Il pistone, allora, risultava forato, e quindi si poteva solo abbassare la lama di deriva, ma non si era in grado di sollevarla.

Con molta difficoltà, per via delle incrostazioni formatesi in chissà quanto tempo, abbiamo abbassato la lama di deriva fino quasi alla sua posizione di massima verticalità, e così è stata infine lasciata.

Era il mese di aprile del 2008 e, in quel momento, avevamo capito che avremmo dovuto comunque mettere mano nella deriva, e decidere se revisionare completamente il meccanismo di movimento, oppure bloccare in qualche modo la lama di deriva, o ancora se sostituire integralmente la deriva mobile con una chiglia fissa.

Passammo quell’estate godendoci la prima vacanza sulle onde, ma già dalla fine di settembre cominciammo a verificare le diverse ipotesi di intervento.

Ovviamente, per poter prendere una decisione consapevole, abbiamo cercato di preventivare, per quanto possibile, i costi e la fattibilità delle diverse soluzioni.

Nell’ipotesi di recuperare la piena funzionalità della deriva mobile, abbiamo iniziato a valutare i costi della sostituzione sia del pistone e del sistema idraulico (deviatore di flusso e pompa), e sia della struttura in acciaio autoportante della deriva mobile (che in più parti risultava irrimediabilmente corrosa).

Per bloccare la lama di deriva, abbiamo comunque considerato che sarebbe stato necessario smontare completamente la deriva mobile, sostituire la struttura in acciaio autoportante della stessa (per i motivi sopra citati), smontare il pistone idraulico e sostituirlo con un perno inox da fissare poi in maniera definitiva.

La valutazione della sostituzione della chiglia presupponeva (per lo meno a mio avviso), di poter trovare una chiglia adeguatamente dimensionata.
L’idea di adattare la chiglia di un Mini 6,50 al nostro Tamurè, come avevo trovato l’occasione di fare, mi sembrava un ripiego, che poi, a conti fatti, ci avrebbe fatto risparmiare relativamente poco (circa il 10% sul totale che alla fine abbiamo speso).

La svolta è arrivata quando sono riuscito a contattare l’Ing. Giovanni Ceccarelli, figlio di Epaminonda Ceccarelli, progettista del nostro Tamurè.
L’Ing. Ceccarelli si è dimostrato da subito disponibile a progettare la nuova chiglia.

Da lì sono partito, con molta fantasia (perché non avevo ancora nessun disegno in mano), a cercare una fonderia che potesse fare al caso nostro.
Per avere qualcosa che somigliasse ad un preventivo, mi sono inventato un disegno (più o meno probabile) della forma che avrebbe avuto la chiglia con il bulbo.

Al termine di circa tremila calcoli approssimativi, tabelle comparative, che sembrava dovessimo calcolare il budget della NASA, ho compreso che i costi dalla soluzione meno onerosa (bloccaggio della deriva esistente) alla sostituzione integrale della chiglia (la più cara) potevano raddoppiare.
Ma tra la sostituzione integrale della chiglia ed il completo recupero della funzionalità della deriva mobile, la differenza non era così enorme, diciamo un 30%.
Che sono soldi.

Però, a quel punto, mi rendevo conto che la scelta stava diventando più concettuale, quasi ideologica, tra il mantenere la deriva mobile oppure passare alla chiglia fissa.
Ed allora valutare vantaggi e svantaggi è diventata la nuova sfida.

Tralasciando le inevitabili disquisizioni filosofiche scaturite, ed inesauribilmente alimentate da chiunque io abbia chiesto un consiglio (è stata incredibile la constatazione di non avere trovato due pareri concordanti tra loro!!), alla fine abbiamo deciso:
avremmo eliminato la deriva mobile e costruito la nuova chiglia fissa con bulbo!!!


Mi rendo conto, per chi avrà avuto il coraggio di leggere fino a qua, che quanto ho scritto potrà sembrare autoreferenziale, eccessivo, logorroico, o tutte queste cose insieme, ma penso che molti capiranno davvero quante ansie, paure, e criticità, abbiamo dovuto metabolizzare per arrivare a prendere questa decisione.
Prima di affrontare questo lavoro, non so quante pubblicazioni, documenti, ho letto per chiarirmi le idee e valutare pro e contro di ogni singola scelta, comprendere al meglio le tecniche di laminazione (o almeno provarci), conoscere le diverse tipologie di tessuto, l’utilizzo delle resine.
Ho disegnato varianti diverse del piano di laminazione, cercando di studiare nel dettaglio la migliore tecnica da usare per il corretto posizionamento della piastra di fissaggio della chiglia, con l’intento di non spostare il centro di deriva sull’asse longitudinale e trasversale dello scafo rispetto all’originale.
E così per molti altri particolari (tipo il posizionamento e le dimensioni dei madieri, la foratura dei perni di fissaggio della chiglia, le dimensioni delle contro piastre di fissaggio della chiglia, etc.).
Ma passare dalla teoria alla pratica è stato veramente incredibile.
Ancora oggi non mi sembra vero di essere riusciti a fare quello che davvero abbiamo fatto!!

E se c’è un momento che non dimenticherò mai (e giuro: MAI) è stato quando, dopo aver smontato la vecchia deriva (in una notte d’agosto del 2009, insieme a mio figlio), ho azionato il mio FEIN Multimaster ed ho cominciato a tagliare la cassa della deriva….
….quello è stato il momento dal quale, era evidente, non si poteva più tornare indietro!!
Ed ho provato una sensazione quasi agghiacciante…

Ovviamente, in quei giorni, tutto era già pronto per fare il lavoro.
La chiglia era arrivata (bellissima!), i tessuti, le resine, tutto l’occorrente era lì, ma mentre tagliavo la vetroresina della vecchia cassa della deriva... lungo la schiena sudavo freddo…

Da qui in avanti lascerò parlare solo disegni e fotografie con qualche breve commento.
Per i tanti ringraziamenti da fare, ci ritroveremo nelle ultime righe.  

Il documento in pdf  Madamin.pdf





 
Vista della barca al momento dell’acquisto

Nota
Si intravede sulla dritta, a centro barca, la mancanza di un pezzo della falchetta.





















L’interno della barca (sempre al momento dell’acquisto)























Durante i lavori della primavera 2008

Nota
Si può notare l’inclinazione della lama di deriva, come è stata trovata al momento dell’alaggio.



























Vista dell’interno dello scafo con la cassa di deriva originale






















Particolare del pistone idraulico di movimento della deriva mobile






































Particolare del paranco di regolazione delle volanti

Nota
Dal momento dell’acquisto, abbiamo sostituito tutte le drizze, le scotte, il sartiame.
Questa è una delle modifiche alle attrezzature che abbiamo eseguito.




















Vista della coperta

Nota
A parte la bussola, pre-esistente, è stata installata ex novo la strumentazione di bordo (Stazione del vento – Log – Echo) della NASA Instrument serie Clipper.
Così come sono stati sostituiti tutti gli originali verricelli Antal (con nuovi winches Harken).



























Vista della coperta

Nota
La falchetta è stata integralmente sostituita, così come tutti gli stopper



















Progetto della nuova chiglia


























Vista prospettica 3D della nuova chiglia, con individuazione del centro di massa



























Fotografia del modello composto in polistirolo della nuova chiglia






















Fotografia del modello scomposto in polistirolo della nuova chiglia

























Posizionamento originale della cassa di deriva all’interno dello scafo





















Sezione trasversale del montaggio della cassa di deriva (vista A-A da disegno precedente)























Posizionamento della nuova chiglia

Nota
La piastra di fissaggio della chiglia è stata modificata rispetto al progetto.
Il progetto originale prevedeva l’impiego di N° 06 perni da 14 MA, la modifica è consistita nell’allargare la piastra ed avere N° 08 perni di fissaggio da 14 MA.























Posizionamento della nuova chiglia (vista C-C da disegno precedente)






















La nuova chiglia durante il trattamento di resinatura in officina

Nota
La chiglia è stata da ricavata da una fusione integrale in ghisa sferoidale tipo GS400.
La struttura d’appoggio della chiglia è stata costruita prevedendo di poter essere utilizzata anche durante la fase di montaggio in cantiere.







Metodo seguito per il trattamento della chiglia, sotto licenza della Ditta Cecchi Gustavo



























La chiglia in cantiere



























Lo scafo laminato all’interno, con i madieri integralmente ricostruiti

Nota
L’anima dei madieri è stata realizzata con PVC espanso a cellula chiusa ad alta densità 200 Kg/mc  AIREX C70.200.






















Piano di laminazione definitivo

Nota
La laminazione è stata effettuata sovrapponendo circa 60 strati di tessuto di vetro biassiale +/- 45° con fogli incrociati, a più riprese (10/15 strati per volta), utilizzando il peel ply.
E’ stata adoperata la resina epossidica C-Systems 10 10 CFS della Ditta Cecchi Gustavo.






















Sesta in compensato di Okumè per ricreare la sagoma della piastra di fissaggio della chiglia e fare da fondo alla laminazione in vetroresina

Nota
La sesta in compensato è stata sagomata e preventivamente forata usando come dima la stessa piastra di fissaggio della chiglia.
Questo ci ha permesso sia di tenere sotto controllo, in tutte le fasi di lavorazione, l’allineamento longitudinale della chiglia rispetto al centro barca, e sia di avere alla fine i perfetti riferimenti di foratura del laminato.



























Sede della piastra di fissaggio sul fondo dello scafo per accogliere la chiglia























Preparazione al montaggio della chiglia























La chiglia è stata montata e gommata






















Mio padre controlla!!






















Il montaggio delle contro piastre di fissaggio della chiglia

Nota
Le 5 contro piastre sono inox AISI 304 (spessore 10 mm. – larghezza 100 mm.), smussate sugli spigoli (lunghezza 300 mm. le tre centrali – lunghezza 200 mm. alle due estremità).
Sotto ogni contro piastra abbiamo inserito uno spessore di 0,5 mm. in Teflon.
I perni da 14 MA sono inox AISI 304, bloccati con dado e contro dado inox. AISI 304.



























Il nuovo pagliolato (non sembra una barca seria?!?)

Nota
Dobbiamo ancora terminare il fissaggio del tavolo da carteggio.






















Al termine dei lavori durante il varo

Nota
La barca è stata alata il 27 luglio 2009.
Il varo è avvenuto il giorno 28 settembre 2009.






















Il momento del varo






















La barca è in acqua!!



























Finalmente all’ormeggio……






















Io ed Antonella, stanchi ma felici…….





RINGRAZIAMENTI


Il capitolo ringraziamenti dovrebbe durare all’infinito.
Perché sono veramente tante le persone che ci hanno aiutato, e guidato, in questa avventura.
Procederò quindi in ordine sparso, senza una sequenza logica, sperando di non dimenticare nessuno.

     Comunque il primo grazie lo dobbiamo sicuramente ad Angelo Pizzorno, ed a sua moglie Marina, che praticamente ci hanno adottato per qualche mese, istruendoci nei primi importanti rudimenti sulla marineria, aiutandoci pazientemente a comprendere il nuovo mondo al quale stavamo andando incontro.
     Al Maestro, forse è meglio dire Comandante, Mario Mainelli che fino alla fine ha tentato di dissuadermi dal fare questa follia (la sostituzione della chiglia), ma nel momento del bisogno mi ha regalato, come sempre, i suoi preziosi consigli.
     Al Sig. Marco Cecchi, della Ditta Cecchi Gustavo, che oltre ad averci fornito tutti i tessuti, le resine, gli stucchi, gli smalti, ci ha costantemente ed attivamente assistito prima, durante e dopo la lavorazione.
     Al personale, TUTTO, dei Cantieri Navali di Sestri, che ha operato con grande professionalità (in particolare al montaggio della chiglia), ed ha permesso a noi di lavorare sempre in un ambiente amichevole e collaborativo.
     All’Ing. Giovanni Ceccarelli un grazie particolare, perché, sinceramente, non mi aspettavo che il progettista di Mascalzone Latino, oltre che di una serie incredibile di barche (tutte stupende), potesse davvero prendere in considerazione un piccolo armatore per un refitting così poco rilevante.
Invece ho avuto modo di apprezzare un uomo che non si è mai sottratto alle inevitabili rotture di scatole che gli ho procurato.
Insieme all’Ing. Baldan, ci hanno seguito con evidente passione ed ammirevole disponibilità.
Ma c’è di più, per dirla tutta, senza il contributo fondamentale dell’Ing. Ceccarelli, tutto questo lavoro forse non sarebbe neppure cominciato, o per lo meno avrebbe seguito percorsi e scelte decisamente differenti.
     Alla Fonderia Dairaghese, che in collaborazione con la modelleria Model Rapid, hanno dato forma e sostanza ai nostri progetti (eseguendo un ottimo lavoro!).
E come valore aggiunto, mi preme di testimoniare la gentilezza e la cordialità riscontrata.
     Ad Alessandro Bruno, che ha eseguito la gran parte della laminazione monolitica sul fondo dello scafo.
     All’amico Walter Parodi, che, come diciamo noi a Genova, quando c’è da “farsi il culo” lui c’è sempre, ed è la prova vivente che gli amici, quelli veri, li ritrovi proprio quando ne hai bisogno, e Walter è proprio tra quelli che non si risparmiano….     
     Un grazie speciale ad Adolfo Parodi, il padre di Walter, che veramente si è prodigato oltre ogni misura….
     Un grazie di cuore al mio grandioso amico Alfredo Pruzzo, dovrei dire per l’importante supporto logistico prestato, ma in verità per il semplice fatto di esserci...   
     All’amico Alfredo Canè, che non ha smesso mai, neppure per un istante, di sostenermi nell’affrontare questa follia, trovando sempre le parole giuste, nei momenti più duri, per aiutarmi ad andare avanti, elargendo consigli utili.
     Agli amici della Ditta Arecco, che ci hanno aiutato nella gestione degli acquisti, e non solo.
     All’amico prezioso Giorgio Bottaro, che mi ha lasciato operare sulle macchine utensili della sua azienda (la prestigiosa Ro.Bo.Cen), incurante del rischio corso, per la lavorazione dei particolari inox.

Gli ultimi ringraziamenti sono per la mia famiglia:
     A mio figlio Alessandro
     A mia figlia Alice
     A mio padre Giuseppe
     A mio suocero Lino
     A mio zio Nico
Tutti coinvolti, ed incredibilmente impegnati ad aiutarci nell’opera, per ringraziarli adeguatamente dovrei inventare parole nuove, semplicemente sono stati fantastici….


Ma il Grazie più grande, immenso, lo devo a mia moglie Antonella, perché senza il suo incrollabile sostegno davvero queste pagine non potrebbero esistere.


Genova, 18 gennaio 2010

                                Salvatore Pistone



NOTE FINALI

Al termine di tutto questo, almeno due parole volevo spenderle sul come è andata a finire, ovvero quale è stato il risultato effettivo di così tanto lavoro.
Ad oggi abbiamo condotto in mare la barca in condizioni abbastanza diverse, e possiamo dire che a motore, rispetto a prima, abbiamo guadagnato comunque un nodo di velocità (a parità di giri del motore), a vela con poco vento mi sembra decisamente migliorata (riesce a ripartire più facilmente), con vento teso e mare formato la barca appare perfettamente bilanciata e stabile sul passaggio dell’onda.
Quando abbiamo avuto modo di testarla con il nostro amico Alfredo Canè (skipper di provata esperienza), in condizioni di vento ottimali (circa 15 nodi di vento apparente – sui 20 nodi di raffica) la barca, nelle diverse andature, sembrava correre su di un binario, con grande capacità di stringere il vento di bolina.
La poca esperienza che abbiamo non ci consente di giudicare se poteva andare meglio o peggio di così, ma noi siamo soddisfatti e orgogliosi della nostra piccola “Madamin”!!!